
Quello del Como (domanda di ripescaggio respinta dalla Covisoc) è solo uno dei casi di giustizia sportiva di quest’estate. Perché il calcio sta così male?
Valutare il sistema-calcio basandosi sui colpi ad effetto delle big di Serie A sarebbe come giudicare la solidità di un’abitazione facendosi convincere dalle belle travi della mansarda. Ciò che conta sono le fondamenta e, mai come in questo periodo, le fondamenta del nostro pallone scricchiolano pericolosamente.
In Serie A abbiamo un Parma che l’ha scampata bella col caso-Calaiò e un Chievo ancora sotto processo per aver gonfiato i bilanci (ma sarà l’unica società a farlo?) con l’aiuto del Cesena. Quest’ultima è una delle squadre non iscritte alla Serie B, oltre a Bari e Avellino. In terza serie sono saltate per aria Bassano, Mestre, Fidelis Andria e Reggiana. E così, via al valzer dei ripescaggi: in cadetteria salgono Catania, Novara (entrambe dopo una battaglia legale) e una terza ancora da definire. In terza serie la Juventus B con Cavese e Imolese, ma avanzano posti.
E il Como? Invece di garantire 650mila euro tramite fideiussione, li ha direttamente versati tramite bonifico. Una irregolarità formale che la Covisoc non poteva non ravvisare, infatti oggi ha bocciato la domanda di ripescaggio. L’avvocato Chiacchio ha già pronto il ricorso al Coni vista la circostanza mai successa prima. Stranamente: il calcio delle categorie inferiori ormai da anni si gioca più nei tribunali e nelle banche che sull’erba, eppure c’è ancora spazio per qualche prima volta.
La stessa Covisoc si è fatta attendere: sentenza oggi anziché martedì. Motivo del ritardo? L’eccezionalità della situazione e i tanti procedimenti pendenti a livello di giustizia sportiva, che hanno anche convinto la Lega Pro a rimandare la stesura dei calendari.
Viene spontaneo chiedersi cosa stia succedendo al nostro pallone, sempre più in balia di proprietà bizzose o di presidenti-avventurieri. Il fulcro del problema è che fare calcio non conviene, non porta utili ed espone a rischi d’impresa e di immagine che sono sempre più numerosi. Incidono la folle tassazione, le altissime spese di gestione (stipendi, vivaio, strutture, multe varie) e i tempi biblici della giustizia. Secondariamente, la pressione dei tifosi e dei media può complicare il lavoro di una dirigenza. Per non parlare della palude in cui sguazzano allenatori e giocatori che portano sponsor, procuratori poco limpidi, consulenti vari e chi più ne ha più ne metta. Inoltre, un patron che spende tanto per vincere potrebbe veder sfumare i propri obiettivi semplicemente per un pallone che finisce un millimetro troppo in alto o per un arbitro in giornata no (chiedere a Piazza e alla Reggiana). Tutte cose che allontanano gli imprenditori seri da questo mondo, a parte rare eccezioni. E se non sono gli imprenditori seri a comprare le squadre di calcio, ci pensano gli imprenditori poco seri. Anche perché di regole che li allontanano non ce ne sono.






