
Pierluigi Marzorati traccia un bilancio di inizio stagione. Piace il lavoro di Meo e Nikolic è il preferito. Largo ai giovani in A2.
Turno di riposo per la Pallacanestro Cantù, che tira il fiato dopo otto giornate concluse con un bilancio di sette vinte e una persa, nonostante gli infortuni che hanno colpito diversi membri del roster. Approfittando della pausa, abbiamo deciso di fare due chiacchiere con una leggenda del club come Pierluigi Marzorati. Un’occasione per tracciare un primo bilancio sul nuovo corso targato Sacchetti, ma anche per spaziare su diversi temi che riguardano Cantù e la pallacanestro italiana.
Partiamo dal basket giocato. L’Acqua S.Bernardo è prima, con un record di 7-1, analogo a quello dello scorso anno: come giudica l’inizio di stagione?
“Il record è lo stesso, ma la sostanza mi sembra diversa. Rispetto a prima, abbiamo iniziato a correre di più e meglio in contropiede. La squadra mi piace. E’ tra le migliori difese del campionato ma credo ci siano ancora margini di miglioramento. Ci vuole tempo per creare un sistema che funzioni al meglio, ma Meo sta lavorando bene. Mi sembra sia riuscito a trasmettere la giusta tranquillità all’ambiente”.
La concorrenza è tanta: la strada per tornare in A1 è quella giusta?
“Per il momento, il percorso sembra quello prefissato. Siamo sicuramente tra le squadre più attrezzate. C’è Cremona, che è molto forte, ma ha dimostrato di poter commettere passi falsi, ma mi piacciono anche Torino e Monferrato, contro cui, però, abbiamo appena vinto e anche bene. L’A2, purtroppo, ha quattro o cinque mesi di stagione prima del rush finale, che è poi quello decisivo. Servirà farsi trovare pronti in quel momento e credo che Meo stia lavorando in quest’ottica. La partita da non sbagliare è la quinta della finalissima. Speriamo di arrivarci al top, perché non ne posso più di vedere Cantù in A2”.
A proposito della filosofia di Meo: fin dalla sua prima conferenza ha rivelato di volere un buon playmaker per la propria squadra, ruolo in cui, poi, è stato preso Roko Rogic. Le piace?
“Non è male. Sa far giocare la squadra e mettere in ritmo i compagni. Qualche volta commette ingenuità, ma fa parte del gioco e del processo di inserimento. Quando avrà conosciuto maggiormente le caratteristiche degli altri giocatori farà ancora meglio. Quello che mi ha colpito di più, però, al momento, è Stefan Nikolic”.
Cosa apprezza del suo gioco?
“Ha ottime doti atletiche e anche una buona cognizione del gioco. Al contrario dei serbi che ho incontrato nella mia carriera, però, deve imparare a essere più duro. Quando sbaglia è perché non ci mette la giusta cattiveria. Da quel punto di vista si è italianizzato un po’ troppo. Se riuscisse a giocare con maggiore intensità sarebbe davvero difficile da fermare”.

Un altro che sta facendo bene è Berdini, un giovanissimo nel ruolo in cui anche lei ha giocato, debuttando altrettanto giovane…
“Mi sta piacendo e si vede che anche coach Sacchetti ha fiducia in lui. Gli sta dando tanti minuti, anche in coppia con Rogic. E’ in una piazza importante e deve bruciare un po’ le tappe per fare il definitivo salto di qualità. Può migliorare dal punto di vista della personalità, facendosi sentire maggiormente dai compagni”.
Se in campo le cose stanno andando piuttosto bene, anche al di fuori qualcosa sembra muoversi. Da ingegnere, cosa ne pensa del nuovo palazzetto?
“Non conosco benissimo il progetto, ma sembra interessante. So però che i costi sono lievitati ed è un processo abbastanza lungo e oneroso. Che dire…Speriamo di averlo pronto al più presto”.
Spostiamoci un po’ da Cantù: recentemente la nazionale ha staccato il pass per i Mondiali con Carlo Recalcati nello staff. Siete legati dai tanti anni condivisi in biancoblù: l’ha sentito dopo la qualificazione?
“Assolutamente sì, ci sentiamo spesso. Sono molto contento per lui. Io credo abbia fatto un’ottima scelta a tornare in Nazionale. C’è con la testa e ha grande esperienza. Uno come lui è importante per dare serenità all’ambiente e alla panchina. Pozzecco, qualche volta, ne ha certamente bisogno”.

In che direzione sta andando il movimento cestistico italiano?
“Penso possa fare ancora di più, perché le opportunità non mancano. Credo sia necessario, dopo due anni di pandemia, provare a organizzare più eventi e rivedere quelli già esistenti. Il futuro della nazionale parte dai ragazzini. Dobbiamo fare in modo di farli appassionare al gioco della pallacanestro”.
L’A2 è un campionato fatto prevalentemente da italiani. Gli stranieri sono solo due, quindi lo spazio non manca. E’ la formula giusta per far crescere i giovani e indirizzarli verso il salto di qualità?
“Fosse per me, toglierei anche il secondo straniero. Ripenso al Pierluigi Marzorati che ha esordito a 17 anni a Cantù e mi rendo conto di come sia stato possibile, non tanto grazie alla mia bravura, quanto all’assenza di americani. Sostituire uno statunitense da poco uscito dal college con un giovane del vivaio permetterebbe ai ragazzi di giocare, sbagliare, ma soprattutto crescere”.
Ne è una piccola dimostrazione ciò che ha fatto Guglielmo Borsani in assenza di Stefanelli, che americano non è, ma è uno dei riferimenti della squadra?
“Esattamente. Se uno gioca con la sua rabbia agonistica, può andare anche oltre i limiti tecnici. Sbagliando e imparando, nel giro di qualche anno, può rendere anche più degli americani”.





